“Una foto non si scatta, si crea” (Ansel Adams)
La fotografia di paesaggio è senza dubbio uno dei generi più antichi e diffusi e tra le prime foto, anche per esigenze tecniche (lunghissimi tempi di esposizione), gran parte erano foto di paesaggio.
Testimonianze importanti (prima metà dell’800) arrivano dagli stessi pionieri della fotografia come William Henry Fox Talbot e David Octavius Hill e già nello stesso periodo sono raccolte e divulgate le prime immagini di luoghi remoti come Egitto o Medio Oriente.
Nel 1932, fu fondato in America il Gruppo f/64 che riuniva alcuni tra i più famosi e apprezzati fotografi di paesaggio del periodo (e di sempre) ossia Imogen Cunningham, Willard Van Dyke, John Paul Edwards, Consuelo Kanaga, Sonya Noskowiak, Henry Swift e Edward Weston ma soprattutto Ansel Adams, fondatore e guida spirituale del gruppo.
Come suggeriva il nome, la tendenza del gruppo era quella di una fotografia tutta fuoco, intesa non solo dal punto di vista tecnico ma soprattutto concettuale. I concetti espressi dovevano essere chiari, diretti ed immediatamente comprensibili e si contrapponeva al pittorialismo.
In tempi più recenti, circa a metà degli anni ‘80, due lavori particolarmente significativi e vicini a noi sono stati Viaggio in Italia, cui hanno partecipato, tra gli altri giganti, Luigi Ghirri, Guido Guidi, Mimmo Jodice o Gabriele Basilico, e l’opera sul paesaggio francese promossa dalla DATAR (Délégation interministérielle à l’aménagement du territoire et à l’attractivité régionale).
Sfogliando le pagine di Viaggio in Italia, magnifico ed iconico progetto, si può apprezzare la ricerca della non spettacolarità a tutti i costi del paesaggio e dei suoi luoghi comuni ma la superba semplicità del luogo comune, familiare, capace di raccontare storie apparentemente trascorse e passate attraverso particolari e dettagli.
Si tratta di una fotografia profonda, introspettiva e personale, votata all’interrogazione o alla deduzione più che alla semplice osservazione.
Ovviamente, si tratta questo della parte per milione della storia della fotografia di paesaggio ma sono punti fondamentali che è bene approfondire autonomamente per avere una solida base su cosa si intende per fotografia di paesaggio.
Parlare di paesaggio non è solo parlare di montagne e mari al tramonto. Paesaggi rurali, fluviali, lacustri o urbani possono raccontare qualcosa che va oltre alla spettacolarità fenotipica di quello che abbiamo davanti.
Ancora una volta, e tanto più per questo genere fotografico, prima ci si allontana dall’approccio “fotografo questo perché è bello” a favore di qualcosa che potrebbe essere “fotografo questo perché voglio raccontare”, prima la nostra fotografia acquisirà spessore.
A tutti piace il sole al tramonto sul mare ma un soggetto bello e una foto di un soggetto bello non sono la stessa cosa. La fotografia deve avere un senso a prescindere che il soggetto sia “bello” o “brutto”, ciò che conta è il racconto.
La veduta di un cantiere in una grossa città, ad esempio, può non scaldare il cuore ma può raccontare come quella determinata città sta mutando la sua struttura e, quindi, come sta cambiano la società, gli usi e le necessità della gente ed il suo tessuto economico.
La Milano del boom economico, giusto per impiegare qualcosa di rappresentativo, è stata magistralmente immortalata negli anni da Uliano Lucas o Ernesto Fantozzi che non hanno semplicemente fotografato “quella cosa” (un palazzo in costruzione, una nuova strada, ecc) ma lo hanno fatto relazionando il soggetto con elementi di contrasto (prati, campi, piccole case a un piano, ecc).
Questo modo di rapportare i vari elementi della fotografia, mettevano in risalto il VERO soggetto che era “il cambiamento”. Non si fotografava “quel” palazzo in quanto tale ma in quanto parte di qualcosa di più elevato.
La fotografia di paesaggio richiede pazienza e per riuscire ad esprimere qualcosa è necessario un minimo di pianificazione. In questo genere fotografico, ancora più che in altri, la foto bisogna andare a prendersela perché da sola difficilmente arriva.
Innanzitutto, poniamoci sempre la solita, consueta e fondamentale domanda:
Soprattutto agli inizi, è bene definire il nostro soggetto con precisione.
Facciamolo lasciando la macchina nel cassetto, ora non serve. Facciamolo seduti sul divano con tutta la calma necessaria e chiediamocelo dieci volte: cosa-sto-per-andare-a-fotografare.
Che sia il parco sotto casa, un vulcano in eruzione o l’immensità del Sahara devo sempre, necessariamente, tassativamente individuare IL soggetto.
Questa domanda è tutt’altro che scontata.
Possiamo trovarci infatti in condizioni di ripetibilità o irripetibilità e questo influenzerà di molto il risultato.
Talvolta infatti, siamo in una condizione dove ci troviamo a passare in un certo punto ad una certa ora senza poterci tornare. È il caso ad esempio di una gita fuori porta o di una vacanza. In questo stato non possiamo decidere a che ora fotografare ad esempio o in quale stagione scattare. Ci troviamo lì e siamo, in un certo senso, vittime delle circostanze.
Diverso è invece quando possiamo scegliere e attuiamo una serie di decisioni.
Posso fotografare il parco sotto casa incendiato dal foliage autunnale come coperto dalla neve (quando nevica ovviamente), alle luci dell’alba come sferzato dal vento e sovrastato da nuvole plumbee.
Non devi avere un soggetto spettacolare per fare una foto spettacolare. È ovvio che sarebbe il sogno di tutti fare una foto all’aurora boreale ma se al massimo si può fare una foto alla propria via, concentriamoci per fare una buona foto della nostra via.
Saper fare fotografia non vuole dire cercare il sensazionalismo a tutti i costi ma saper tirare fuori un pensiero da un contesto.
Decidiamo un soggetto; osserviamolo nei vari momenti della giornata (la luce cambia e illumina diversamente) per trovare quella che ci piace di più; se possibile, non facciamo la foto scontata dal punto di osservazione dove sono tutti.
Se non vogliamo fare solo foto-cartolina, anche il paesaggio a vari punti di osservazione. Usciamo dai sentieri tracciati, guardiamoci attorno e studiamo punti di vista alternativi, inusuali.
Molto efficaci sono le visioni da punti più alti quindi, se possibile, fotografiamo da una collinetta ad esempio o anche solo in piedi su un muretto. Alle volte basta un metro per cambiare senso alla foto.
Con i sistemi che grosso modo possono avere tutti (reflex, mirrorless, compatta o smartphone che sia), in condizioni di illuminazione ottimale (di giorno per capirci), si può benissimo fare buona fotografia di paesaggio.
L’obiettivo da usare sarà ovviamente un grandangolare, almeno un 35mm ma meglio anche un 24mm o anche meno; poni però attenzione che grandangolari spinti tendono a deformare immagini.
Molto spesso, nella fotografia di paesaggio si usa il cavalletto. Per chi lo possiede ed in determinate circostanze, è un alleato molto importante. Scattare col cavalletto consente di avere immagini perfettamente ferme (lasciamo stare il mosso creativo) o di scattare con pochissima luce o anche ottenere effetti particolari (es. effetto seta dell’acqua, qualcosa di tanto spettacolare quanto abusato). I
l cavalletto aiuta molto anche perché trovata la giusta inquadratura che ci piace, possiamo lasciare la macchina puntata ed attendere, per esempio, l’ora giusta per fotografare.
Ricorda sempre che, se non si dispone di un cavalletto, si può sempre appoggiare la macchina p.e. sopra un muretto oppure tenerla saldamente in mano appoggiandosi con la spalla ad un albero.
Lasciamo la creatività e artisticità per un secondo momento. La foto di paesaggio deve essere “in bolla”:
Un rischio abbastanza comune nella fotografia di paesaggio è che l’immagine risulti “piatta”. Piani ed elementi sono quanto mai importanti per rafforzare la struttura dell’immagine ed avere foto più interessanti.
Una parola importante che può guidarci durante il processo creativo è profondità. E’ vero che la fotografia (stampata o a display) è un piano a due dimensioni ma la sua struttura compositiva all’interno può dare anche senso di sviluppo lungo la terza.
Per fare questo possiamo:
Una certa attenzione va data alla linea dell’orizzonte che può essere alta o bassa, ossia includere una porzione maggiore o minore di cielo o di terra.
Quale è la porzione corretta?
Ancora una volta “di-pen-de”.
Non esiste “la regola per avere la foto perfetta”.
Esiste un senso che vogliamo dare alla foto. Fotografare una parte maggiore di cielo (per la quale una piccola inclinazione della macchina sarà indispensabile) può servire ad enfatizzarne colori o formazioni nuvolose (se ci sono, ovviamente) mentre includere una parte maggiore di terreno, sarà più descrittiva.
Non esiste in senso assoluto uno stile “migliore”. Come sempre si tratta generalmente di scelte e, talvolta, di relazione con il contenuto.
La foto in Bianco e Nero rende molto bene quando ci sono contrasti elevati ad esempio, con nuvole cariche di pioggia, sole radente, dove si va a “sacrificare” il colore a favore di una “drammaticità” superiore.
Il colore, d’altro canto, potrà rafforzare alcuni concetti (una bella spiaggia renderà bene con i colori belli saturi) là dove si vorrà parlare della particolarità cromatica della situazione. Idem ovviamente per contesti dove il colore è un elemento imprescindibile, ad esempio un particolare campo di fiori.
Siamo giunti al termine di questa lezione sulla Fotografia di Paesaggio.
Ti è venuta voglia di prendere la tua macchina fotografica e mettere in pratica i miei consigli?
Spero proprio di sì perché ora TOCCA A TE!
Sperimenta e prova ad immortalare il paesaggio che ti circonda ricordandoti i miei suggerimenti.
Ci vediamo alla prossima lezione,
Stefano.