In questo numero:
Le affissioni pubblicitarie in città. Dal consumismo all’arte
Il sale dà il sapore al cibo, alla vita e all’arte
La risposta era… La stella di Degas
Buona lettura 😉
Simone Rega
Dentro il museo. Conoscere a distanza
Arte in città. Oltre il digitale e il divieto di affissione
Che fine hanno fatto le inserzioni pubblicitarie sui muri e nelle bacheche apposite? Forse complice la pandemia che ha ridotto il tempo passato in città, anche le inserzioni stanno subendo un’inflessione o meglio stanno vivendo una nuova vita. Lo spazio pubblicitario viene sostituito dall’arte. Uno dei progetti più interessanti si chiama “Foglio D.Istinto” ideato dall’Associazione culturale MODO che ha sede a Bruxelles. I creatori sono artisti italiani che hanno voluto rigenerare lo spazio pubblicitario urbano trasformandolo in un’occasione d’arte, un progetto editoriale senza una fissa periodicità. Inoltre può essere considerata un’autentica risposta alla pandemia che ci costringe a produrre e condividere molti contenuti digitali e che ha costretto le nostre vite alla mediazione di uno schermo. Così lo raccontano: “Foglio D’Istinto nasce come risposta alla mancanza di fruizione fisica dell’opera d’arte e alla iperproduzione di contenuti digitali presenti in questo particolare momento storico. Stampata ad un colore (nero) nella dimensione 70×100 centimetri, ovvero uno dei formati disponibili dei fogli macchina di stampa e da qui ne deriva parte del nome, è una rivista affissa negli spazi pubblicitari e, per questo motivo, scoperta e letta dai passanti, in maniera del tutto fortuita”. E così ogni numero è pensato per superare la fase digitale che stiamo vivendo attraverso un contenuto cartaceo che prende l’aspetto di un’inserzione pubblicitaria che afferra la nostra attenzione. Un’opera d’arte, un testo, una scritta, un pensiero senza nessun veicolo virtuale. Si tratta di un puro esercizio fisico, istintivo, oggettuale e visivo. Il primo numero ha avuto per tema il buio e il debutto è avvenuto a Siena. Le prossime tappe saranno a Roma, Torino e Bruxelles.
Questi spazi, prima occupati dal consumismo e da messaggi di elezioni politiche, adesso vengono destinati all’arte, al dialogo con i cittadini, al pensiero. Diventano luoghi di sosta e di riflessione. Un cambiamento che è pronto a realizzare un nuovo confronto con la città.
DA QUI POTETE ACCEDERE AL SITO DELL’ASSOCIAZIONE MODO
Ti racconto. Storie dall’arte
L’arte, il sale della vita
Era considerato un prodotto di lusso, costoso e tra Medioevo e Rinascimento al centro degli interessi di molte città italiane che se ne contendevano il commercio e il monopolio. Tanto importante che addirittura ha finito per identificare il pagamento ovvero il “salario”. E ora il sale, presentissimo in cucina e nei piatti al punto da limitarne l’uso, viene utilizzato in quantità spropositate per realizzare opere d’arte. Questo ci dà la misura del cambiamento di paradigma del sale: da elemento di lusso a prodotto di massa. Non ultimo era il valore simbolico: quando nelle corti si accoglievano importanti ospiti era consuetudine realizzare per loro un grande banchetto con piatti e cibi elaborati. Sulla tavola si esponevano moltissime spezie tra cui il sale, magari inserito in raffinate saliere d’oro. Significava esibizione di potere del padrone di casa. L’artista giapponese Motoi Yamamoto ha proprio fatto del sale il suo elemento distintivo. Enormi sculture tridimensionali, grandi distese di labirinti su pavimento e installazioni “ambientali” che puntano a stupire e far riflettere lo spettatore. L’ultimo lavoro di Yamamoto è Sakura Shibefuru. Falling cherry petals, una mostra recentemente inaugurata in Giappone presso il Setouchi-City Art Museum. L’installazione creata da Yamamoto prevede una distesa sul pavimento di 100 mila petali di ciliegio realizzati a mano come delle piccolissime sculture che ha visto un tempo di realizzazione di circa 55 ore di lavoro. È un omaggio alla lentezza, al dettaglio e alla sfida eterna che vede l’artista confrontarsi con la natura e imitarla. I petali rimandano alla fioritura dei ciliegi, un evento straordinario che porta i giapponesi a fermarsi ad ammirarla. Quest’azione chiamata “hanami”, ovvero “ammirare i fiori”, è una tradizione giapponese che ha avuto inizio 1300 anni fa. L’installazione porta lo spettatore a riflettere sul ciclo della vita, sul passaggio delle stagioni e della vita, alla purezza della natura, al sale della vita.
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Zoom. Segni particolari
Le ballerine di Degas. I primi anni della sua ricerca artistica
Gli indizi della scorsa newsletter non potevano lasciare dubbi. Si trattava di: La stella (1876-78); pastello e inchiostro su carta, 44,2×34,3 cm, Philadelphia Museum of Art. L’artista ovviamente è Edgar Degas. La prima ballerina sta eseguendo il pas seul, è leggiadra, la gamba è flessa, il tulle è un vapore. Oltre alla resa coloristica colpisce tuttavia l’angolazione obliqua, lunga e dall’alto come se l’osservatore si trovasse proprio a teatro. Per rendere ancora più dinamica e leggera la ballerina Degas utilizza proprio dei pastelli in modo tale da aumentare le sfumature, le vibrazioni, le macchie e le ombre dello sfondo. Questa zona appare al primo sguardo confusa ma a ben vedere si possono notare la figura di un gentiluomo e le punte bianche delle scarpette delle altre ballerine che aspettano il loro momento per entrare in scena. Come inizia la carriera artistica di Degas? Era il primogenito di Auguste Degas e di Célestine Musson. Inizia gli studi classici al prestigioso liceo parigino Louis-le-Grand. Nel 1853 decide di avviarsi agli studi di giurisprudenza alla Sorbona che però frequenta in modo discontinuo e intrapresi soprattutto per volere del padre. Le volontà di Degas erano altre perché fin da giovane manifesta una vocazione per le belle arti. Infatti, pochi giorni dopo la laurea, si registra come copista al Louvre. Il padre, che continuava a vedere in Degas un futuro magistrato, inizialmente osteggiò la sua vocazione artistica, ma poi dovette assecondare le richieste del giovane. Così inizia a passare interi pomeriggi al museo del Louvre soprattutto nel settore dei maestri del Rinascimento italiano. Degas fu quindi un autodidatta che viveva l’arte con sincero entusiasmo e voglia di fare. All’inizio fu proprio il padre ad affidarlo a Félix-Joseph Barrias, un modesto pittore che lo avvia agli studi dei nudi e alla pittura di storia. Poi passò all’atelier Louis Lamothe uscito dalla bottega di Ingres. Qui Degas scopre la sua sensibilità artistica. Nel 1855 riuscì a entrare nella prestigiosa École des Beaux-Arts, tempio dell’arte ufficiale dell’epoca ma che tuttavia si basava sul disegno accademico, più sterile e inadeguato agli slanci del pittore. I suoi studi durano solo sei mesi, smette di andare a lezione e decide che dovrà fare esperienza sul campo osservando l’arte classica e confrontandosi con i grandi maestri del passato. Così nel 1856 comincia il suo grand tour in Italia. Napoli, Roma, Assisi, Firenze lo accoglieranno per tre anni. Il ritorno a Parigi è fortemente influenzato dal carico del patrimonio di forme che ha visto in Italia. I suoi inizi sono di tipo realista vicini alle esperienze di Manet. Poi arriva la svolta. Si allontana dai temi storici per abbracciare scene e personaggi della vita contemporanea parigina fatta di musica, città e teatri. Tra l’altro vantava molti amici musicisti che gli fecero scoprire il mondo del “dietro le quinte”. Il definitivo approdo a questo mondo avviene nel 1867-1868 con il Ritratto di Madamoiselle E. F…; a proposito del balletto “La Source”. Sarà il primo dipinto dell’artista che ha come tema un balletto contemporaneo. Dal 1870 in poi i suoi soggetti saranno quasi esclusivamente fantini, balletti, lavandaie, scene tratte dai boulevard della sempre più affermata capitale europea dell’arte. Parigi.
Indovinello di questa settimana
I tre indizi per la prossima opera:
Ecco gli indizi dell’opera di cui parleremo nella prossima newsletter. Si tratta di una scultura che può essere raccontata semplicemente con un cuscino e un gomito. Si trova a Roma, nella Galleria Borghese, è datata ai primi anni dell’Ottocento.
Storie da sfogliare
Il naso di Dante tra Giotto, stilnovisti e preraffaelliti
L’anno di Dante – ovvero i settecento anni dalla morte – può essere raccontato attraverso moltissimi libri. Personalmente ho appena finito “Danteide” di Piero Trellini che vi consiglio se volete capire meglio il mondo prima e durante Dante, quali uomini e quali donne l’hanno vissuto, come si muoveva la politica e come episodi molto lontani tra loro siano in realtà fili della stessa trama. Insomma, il mondo di Dante attraverso i suoi occhi.
Ma c’è un piccolo libro edito da Neri Pozza che mi ha sorpreso perché parte da un luogo comune che tutti immaginiamo quando pensiamo a Dante: il suo naso. La narrazione comincia a Firenze, nel Palazzo del Bargello. La torrida estate del 1840 è da ricordare per il ritrovamento del ritratto giovanile di Dante dipinto da Giotto. Naso aquilino e spigoloso. Qualche giorno dopo Seymour Kirkup, un pittore inglese abbastanza strambo, trova un modo per rimanere all’interno del Bargello e qui realizza il suo personale ritratto di Dante partendo da quello di Giotto. L’originale verrà restaurato in un modo tale da compromettere il suo aspetto autentico. La copia fatta di Kirkup verrà spedita a Londra al poeta Gabriele Rossetti, padre del futuro pittore Dante Gabriel Rossetti che del poeta fiorentino riprende il nome, riscopre i versi e l’amore cortese. Un racconto che mescola i versanti dell’arte, dell’esoterismo, dei templari e dell’indagine poliziesca.
Tra (parentesi)
Una rubrica dedicata alle vostre curiosità
Inviateci le vostre domande e Simone vi risponderà nella prossima newsletter. Spesso tra parentesi o tra i riferimenti a margine ci sono le note più curiose e in pochi le vanno a vedere. Qui invece trovano spazio e trovate spazio voi e la vostra voglia di conoscere.
Alla prossima uscita,
Simone Rega