In questo numero:
La piattaforma che fa da vetrina agli artisti
La mostra sulle pittrici a Milano
Buona lettura 😉
Simone Rega
Dentro il museo. Conoscere a distanza
L’arte è partecipazione. Il network degli artisti
Durante gli ultimi mesi vi ho sempre raccontato di come il digitale stia supportando l’arte e sia diventato una nuova forma di espressione, un’emanazione urgente spesso di un messaggio sociale.
Certo fare l’artista oggi comporta l’accettare le regole di un mercato, la competizione e i pregiudizi.
Una serie di sfide che forse non sono così diverse da un artista del passato. Ma emerge un dato di fatto ovvero che gli artisti, i più giovani, hanno bisogno di spazi dove lavorare e spazi dove esporre non potendo di certo raggiungere subito la dimensione museale.
Così ecco che viene in soccorso il digitale con piattaforme che hanno l’obiettivo di raccogliere, presentare ed esporre gli artisti emergenti.
Negli ultimi anni si è consolidata la realtà di Teelent fondata nel 2019 da Alessandro Braga.
La piattaforma è stata pensata per essere una community che riunisce 60.000 iscritti provenienti da 170 paesi. Si sfrutta il potere dello sharing ovvero della condivisione che negli ultimi dieci anni ha visto nascere pratiche e servizi legati a questa modalità.
Come cantava Gaber “la libertà non è star sopra a un albero, non è neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”.
Così anche per l’arte.
Vetrina, fare networking, scambio di competenze, conoscenze.
Tutte parole che potevano essere estranee anche ad un pittore del passato ma che in fondo già metteva in pratica in altro modo. Forse cambiano solo le parole e la forma mentre la sostanza non è mai cambiata, da secoli.
DA QUI POTETE ACCEDERE ALLA PIATTAFORMA TEELENT
Ti racconto. Storie dall’arte
Una generazione di pittrici. La mostra a Palazzo Reale
Quando parliamo di pittrici pensiamo sempre (e quasi solo) ad Artemisia Gentileschi perché le sue vicende così forti e così tanto (purtroppo) attuali l’hanno portata alla ribalta.
Però ammettete che è più conosciuta per la cronaca e meno per le sue abilità, più per il suo processo e meno per il suo lavoro. Il femminismo anche in arte è una prospettiva dura da far digerire ad un mondo che da sempre ha un punto di vista prettamente maschile.
Proviamo questa volta a ribaltarlo.
Non possiamo di certo risolvere l’argomento con questo breve articolo tuttavia vi vorrei trasferire quella curiosità fino a portarvi a Milano, a Palazzo Reale, sede di una mostra tutta da scoprire.
Infatti fino al 25 luglio potete visitare “Le signore dell’arte. Storie di donne tra ‘500 e ‘600”.
Partiamo da un elenco di nomi: Artemisia Gentileschi, Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana, Elisabetta Sirani, Giovanna Garzoni, Ginevra Cantofoli, Fede Galizia e molte altre.
Sono 34 i nomi e 130 le opere che testimoniano una creatività e un pensiero moderno che queste donne già avevano quasi cinque secoli fa.
E così nello stesso periodo vi riporto l’esempio tutto mantovano di Lucrina Fetti.
Come avrete già capito leggendo il nome si tratta della sorella di Domenico Fetti, che seguì il fratello a Mantova chiamato da Ferdinando Gonzaga.
Lui diventa pittore di corte e lei prosegue con la pittura come aveva appreso nella bottega romana del padre Pietro. Il suo vero nome era Giustina. Diventa Lucrina quando, una volta presi i voti, entra nel Monastero di Sant’Orsola istituito da Margherita Gonzaga. Qui continuò a dipingere i ritratti delle donne di casa Gonzaga e dipinti di carattere religioso.
L’altra storia che vi propongo è quella di Marietta Robusti nota come “la Tintoretta”.
Anche qui, vedete, viene ricordata con il soprannome del padre e non con il suo vero nome. Non sono sfumature.
Marietta era nata da una relazione precedente di Jacopo con Faustina e fin da bambina accompagnava il padre in bottega. Qui imparò il disegno, i pigmenti, la luce fino a collaborare attivamente con il padre.
Musicista, cantante e abile ritrattista al punto da essere richiesta dalla corte spagnola di Filippo II. Questa volta fu il padre Jacopo che si oppose e la fece sposare con il gioielliere tedesco Marco Augusta. Morì a soli trent’anni, probabilmente a Mantova, dove si trovava in compagnia del padre per una commissione richiesta dal duca Guglielmo Gonzaga.
DA QUI POTETE ACCEDERE ALLA MOSTRA DI PALAZZO REALE
QUI INVECE SE VOLETE ACCEDERE AD UN TOUR VIRTUALE CON ESPERTI D’ARTE
Zoom. Segni particolari
Lavinia Fontana, la famiglia Gonsalus e i ritratti famosi
L’indovinello della precedente newsletter era proprio facile facile.
L’autrice in questione era Lavinia Fontana, pittrice bolognese che fa parte di quella generazione di artiste che tra Cinque e Seicento hanno lasciato un’impronta solida e moderna nelle corti d’Europa.
Le città italiane ed europee producevano da decenni una sfida a colpi di originalità tra naturalia ed artificialia, per collezionare opere d’arte strepitose e meravigliare i propri ospiti.
E infatti dietro a quello sguardo del dipinto su tela di Lavinia Fontana si nasconde una storia insieme di prodigi e di sentimenti.
Cominciamo con una collocazione anche se non ne abbiamo la certezza. L’opera probabilmente era appartenuta alla famiglia Gonzaga, da sempre famelica e attirata verso l’arte, il collezionismo e la rarità. Nell’inventario stilato da Ferdinando nel 1626-27 figurano “nove quadertini d’asse dipintovi nove teste d’aritrati, in uno una donna pelosa”.
Il ritratto è appartenuto dapprima a Vincenzo I.
Il dipinto rappresenta il ritratto di Antonietta Gonsalus, la figlia di Petrus che con la sua famiglia acquista notorietà come attrazione teratologica in diversi gabinetti medici e di corte.
Infatti i componenti della famiglia erano affetti da hypertrichosis universalis congenita che ricopre la pelle di peluria, soprattutto sul volto. Il capostipite, Petrus, era nato nelle isole Canarie e portato nella corte francese da Enrico II, educato alle lettere e alla buone maniere. Petrus passò poi alla corte fiamminga di Margherita d’Austria, qui si sposò ed ebbe dei figli. Sempre qui un pittore di corte realizza una serie di ritratti alla famiglia di Petrus che giunsero subito ad Ambras per diventare una delle più acclamate e curiose attrazioni delle raccolte di Ferdinando II.
I Gonsalus nel 1583 si trasferiscono a Parma al seguito di Margherita d’Austria. Infine Antonietta giunse a Bologna presso la marchesa di Soragna, nobildonna “splendidissma e prodiga” e qui vista direttamente dal naturalista Ulisse Aldrovandi.
Lavinia Fontana ritrasse a Bologna almeno in due occasioni Antonietta, la figlia di Petrus. Infatti un delicato disegno che ritrae il volto di una bambina, affetta da quella malattia, è proprio contenuto in un album di disegni conservato alla Pierpont Morgan Library di New York. Il foglio è datato 1594-1595. Il nome della fanciulla è stato riconosciuto in Tognina.
La storia è anche più complicata di così perché tra il dipinto ad olio su tela e il disegno ci sono delle differenze: la posa, l’acconciatura, il cartiglio. Il dipinto del Museo di Blois potrebbe essere proprio quello appartenuto alla collezione di Aldrovandi.
Secondo un’altra ipotesi anche nella collezione Gonzaga era presente un quadretto di “donna pelosa” segnalato nella Libreria di Ferdinando”.
Il cartiglio che regge in mano la bambina è da leggere ai raggi U. V. “Io Antonietta, et hora mi trovo presso la sig. ra Donna Isabella Pallavicina sig. a Marchesa”. L’ultima letta che si legge è proprio Soragna.
Indovinello di questa settimana
I tre indizi per la prossima opera:
Ecco gli indizi dell’opera di cui parleremo nella prossima newsletter.
L’immagine, seppur tagliata per rendervi più complicato il riconoscimento, è un’icona della pittura senese. Di grandi dimensioni, datata 1330 e collocata a Siena.
Se aggiungo altro è troppo troppo facile.
Storie da sfogliare
Quanti cappelli aveva Leonardo?
Appena si nomina Leonardo da Vinci ecco che scattano quella lunga sequela di luoghi comuni, aneddoti e immagini che fanno dell’artista una figura mitica.
La lettura che vi propongo va oltre tutto questo.
Certamente parla dell’uomo Leonardo e parte dagli episodi della sua vita ma soprattutto ve lo racconta in un modo diverso. Avete mai pensato al cappello di Leonardo?
In genere è presentato sempre con un berretto. Perché?
In realtà a volte con e a volte senza. Vi anticipo una verità che lascia quasi senza parole. Leonardo non si è rappresentato tante volte, anzi praticamente non l’ha mai fatto.
Ad oggi non conosciamo nessun autoritratto certificato e dichiarato, eppure l’immaginario comune ha prodotto e scelto quell’immagine facile e commerciale che tutti associamo.
In verità forse ce n’è uno, quello ad oggi più sicuro. Si tratta del foglio 1 del Codice A, di piccolo formato, datato 1492 e conservato presso l’Institut de France a Parigi. Si vede una piccola sagoma scura sul fondo di una finestra illuminata. Appare in pratica una silhouette a mezzo busto e vista di spalle. L’ombra della testa prende la forma di un cappello. A questa data Leonardo si trova a Milano.
Manlio Brusatin, Il cappello di Leonardo. Storie sulla forma delle immagini, Marsilio Nodi 2019
Tra (parentesi)
Una rubrica dedicata alle vostre curiosità
Inviateci le vostre domande e Simone vi risponderà nella prossima newsletter.
Spesso tra parentesi o tra i riferimenti a margine ci sono le note più curiose e in pochi le vanno a vedere. Qui invece trovano spazio e trovate spazio voi e la vostra voglia di conoscere.
Alla prossima uscita,
Simone Rega