Van Eyck, Rogier van der Weyden e gli altri artisti dell’epoca
La nascita della Pittura ad Olio
La nascita della pittura ad olio non è da abbinare solo ai fiamminghi ma si tratta di una tecnica che inizia già nell’antichità. Ne danno notizia Vitruvio, Plinio il Vecchio e Galeno. Il monaco Teofilo, nella prima metà del XII secolo, riporta l’uso della tecnica nel suo trattato De diversis artibus. Sul finire del Trecento sarà invece Cennini che la descriverà nel suo Libro dell’Arte. Qui si ha una più definita collocazione geografica. Cennino afferma che la tecnica viene impiegata soprattutto dai “tedeschi” ovvero dagli artisti d’Oltralpe. Sarà Giorgio Vasari a consolidare la leggenda della pittura ad olio come prodotto fiammingo. Nelle Vite afferma che Jan Van Eyck è l’inventore del colore ad olio, una “nuova e prodigiosa maniera del colorire”.
La diffusione della Pittura ad Olio
Questa tecnica si diffonde in modo capillare e importante dalla metà del XV secolo ma in Italia era fu conosciuta prima, e veniva combinata con altre tecniche come la tempera.
Le prime città ad accogliere opere interamente realizzate a olio furono Urbino, Ferrara, Napoli, Roma e Venezia.
L’introduzione è solitamente attribuita ad Antonello da Messina dopo essere stato in contatto con pittori fiamminghi e catalani. Nel 1449 è documentato il viaggio in Italia di Rogier van der Weyden in occasione del Giubileo del 1450. Il pittore fece tappa a Milano, Mantova, Ferrara, Firenze, Napoli e Roma. Risulta fondamentale la sua presenza in queste città per i rapporti tra l’arte italiana e quella fiamminga perché ha contribuito alla diffusione dei modelli e della tecnica fiamminga. Tra il 1460 e 61 ha avuto come allievo il milanese Zanetto Bugatto inviato proprio dagli Sforza.
Dalla tavola alla tela
La pittura ad olio veniva impiegata dai fiamminghi su supporto ligneo mentre dal XVI secolo verrà utilizzata la tela. “Olio su tela” diventerà l’espressione quasi totalizzante per descrivere i dipinti fino al XIX secolo quando verrà il tempo degli acrilici.
In Italia la tela non era una novità visto che veniva già impiegata dai pittori per realizzare gonfaloni e stendardi. La tela prima si affiancherà e poi sostituirà la tavola. Il cambiamento più significativo avviene nell’area veneta.
La tela viene preparata stendendo dei sottilissimi strati di una miscela a caldo composta da gesso addizionato a colla di animale sciolta. Questa imprimitura ha la funzione di assorbire l’olio della pittura e permette di legare bene gli impasti per evitare l’incupimento delle tinte in seguito all’ossidazione.
La tecnica trova la sua massima fortuna nelle opere di grandi dimensioni che potevano essere così più facilmente trasportate rispetto alle opere su tavola. Questo voleva dire arrotolare le tele. Per consentire di resistere a questa azione all’imprimitura di gesso e colla venne sostituita quella oleosa detta mestica composta da pigmenti bianchi o colorati e olio siccativo con aggiunta di un impasto di farina, olio e biacca.
I coniugi Arnolfini. Un microcosmo di dettagli
Il pittore che li può spiegare meglio è Van Eyck. I suoi ritratti – con lo sguardo rivolto verso lo spettatore, la posa di tre quarti a mezzo busto e la ricchezza di dettagli – ci consegnano un dialogo ravvicinato con una persona reale o che potrebbe essere esistita realmente. Mercanti, banchieri, santi e madonne. Attraverso l’uso di oli trasparenti e diluiti il pittore lavora per velature e costruisce l’immagine in profondità descrivendo particolari e dettagli microscopici. La pittura fiamminga è estremamente ricca di oggetti in primo o in secondo piano, attenzione alle vesti, agli arredi interni della casa. Tutto racconta di un sottotesto sociale che nasconde altri significati simbolici.
I coniugi Arnolfini ne sono l’esempio perfetto. Realizzato nel 1434 è un olio su tavola e raffigura Giovanni Arnolfini, mercante di Lucca, e la prima moglie Costanza Trenta. All’interno della loro stanza da letto si apre un microcosmo di oggetti messi lì a significare: gli zoccoli di entrambi e il cagnolino in primo piano, il tappeto proveniente dall’Anatolia, la vetrata alle spalle con il tipico “occhi di bue”, l’arancia sul davanzale e altre tre su ripiano più basso, il lampadario e lo specchio alle spalle della coppia e il rosario appeso. Sopra la firma del pittore e la scritta “Johannes de Eyck fuit hic”. Nel vetro è riflessa la coppia e degli altri personaggi riproponendo quasi una scena notarile. Non tratteremo qui le simbologie sociali e le interpretazioni del dipinto. Siamo entrati all’interno dell’opera per confermare la precisione lenticolare dei dettagli e degli oggetti resa possibile proprio dalla tecnica utilizzata da Van Eyck.
Dipingere alla Van Eyck
Ora che sai tutto riguardo la nascita e l’affermazione della pittura ad olio puoi provare a dipingere “alla Van Eyck”. Potresti cominciare dal dettaglio che ha fatto scuola e che molti pittori, fiamminghi e non, hanno riprodotto nelle loro opere.
Parlo del dettaglio contenuto nell’opera più conosciuta di Van Eyck, il celebre Ritratto dei coniugi Arnolfini realizzato nel 1434.
Il dettaglio che ha fatto tanto successo, all’epoca e tutt’oggi, è lo specchio in cui sono riflessi il pittore stesso e un altro personaggio in qualità di testimoni dell’evento.
Lo specchio gioca a riflettere oggetti visibili oppure rappresenta situazioni non direttamente presenti allo sguardo dello spettatore. Sulla superficie sarà visibile dunque un paesaggio, delle persone, un oggetto, una finestra.
Se vuoi replicare la tecnica usata da Van Eyck, la riproduzione di un’immagine contenuta in uno specchio penso sia il giusto obiettivo che ti puoi dare oggi dopo aver letto fino alla fine questo mio articolo.
Buon esercizio,
Simone.