Rembrandt Harmenszoon van Rijn

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Rosy Torre
Diplomata presso l'Accademia di Belle Arti di Catania, laureata in Terapeutica Artistica, specializzata nella tecnica della pittura ad olio.
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Rosy Torre
Diplomata presso l'Accademia di Belle Arti di Catania, laureata in Terapeutica Artistica, specializzata nella tecnica della pittura ad olio.

Rembrandt Harmenszoon van Rijn ed i suoi segreti

Considerato il più grande pittore dell’Età dell’oro olandese.

Figlio di un fornaio, quinto di sei figli, il 15 luglio del 1606 nasce Rembrandt.

A differenza dei suoi fratelli che furono indirizzati sin da piccoli a lavori di carattere manuale, lui fu indirizzato agli studi umanistici. Nel 1620 si iscrisse alla celebre università della sua città natale ma dopo pochi mesi soltanto, decide di seguire le sue inclinazioni artistiche. Lascia l’università ed entra nella bottega del pittore Jacob Isaaksz van Swanenburch, sempre a Leyda. È grazie ad un’attenta formazione presso questa bottega che poté apprendere le tecniche messe in atto in Italia (luogo di cui vantava esperienza proprio il maestro Swanenburch). Successivamente passò alla scuola di Pieter Lastmann, formatosi anch’egli in Italia, in cui concluse un periodo di apprendistato. È a questi studi che Rembrandt deve la sua spiccata predilezione per gli effetti violenti e drammatici e l’amore per la rappresentazione degli arredi, preziose suppellettili e splendide stoffe.

Nel 1625 aprì, a Leyda, una bottega per conto suo. È qui che dopo pochi anni conobbe il mercante di quadri Endrik van Uylemburgh, di Amsterdam, attraverso cui ricevette delle commissioni di ritratti.  Trasferitosi ad Amsterdam nei primi anni 30 del ‘600, il pittore si sposa con la cugina del suo mecenate  Saskia van Uylemburgh da cui ebbe tre figli. È proprio ad Amsterdam che ottenne degli incarichi significativi che diedero un importante svolta alla sua notorietà.

I segreti della sua pittura

Rembrandt dipinge su tela mediante l’uso dei colori ad olio.

Marten Soolmans-Rembrandt

Le prime città ad accogliere opere interamente realizzate a olio furono Urbino, Ferrara, Napoli, Roma e Venezia.

Gestisce con grande maestria le luci e le ombre utilizzando una gamma di toni caldi in forte contrasto, dando un importante profondità alle sue opere.  In alcuni punti dell’opera sembra quasi che i soggetti siano tridimensionali, come se uscissero dal quadro. Questo attribuisce un effetto fortemente realistico ai personaggi.

Ma cos’è che da questo effetto?

Un gruppo di ricerca del dipartimento di Scienza dei materiali e ingegneria dell’Università di Delft (Olanda) e del Rijksmuseum di Amsterdam, dove sono conservati molti dei suoi dipinti, ha analizzato a fondo tre opere dell’artista: il ‘Ritratto di Marten Soolmans’ conservato al Rijksmuseum, ‘Betsabea’ del Louvre e ‘Susanna’ del museo Mauritshuis. È proprio in seguito a questa analisi che è stata scoperta la presenza di un ingrediente speciale nei suoi impasti: la plumbonacrite, una componente che oggi viene utilizzata nell’industria automobilistica per mantenere brillanti le vernici rosse e arancioni. I ricercatori sapevano che Rembrandt usava i materiali che erano disponibili sul mercato nel 17 secolo, dunque bianco di piombo, o biacca e olio di semi di lino. Ma la ricetta non era mai stata svelata. Oltre agli ingredienti più comuni infatti utilizzava questo minerale ritrovato rarissime volte nei dipinti antichi.

La lezione di anatomia del dottor Tulp

Una delle opere più note della pittura giovanile di Rembrandt è sicuramente “La lezione di anatomia del dottor Tulp”. Questo non fu il primo lavoro pittorico di Rembrandt, eppure fu una delle prime opere in cui l’artista mise la firma per esteso.

Fino ad allora Rembrandt firmava le sue opere esclusivamente con il monogramma RHL, che sta per “Rembrandt Harmenszoon di Leiden”, poiché egli era un giovane pittore ma non aveva ancora una grande fama come artista. Nel 1632, in quest’opera volle inserire il suo nome in maniera chiara, seppur mimetizzandolo nell’opera.

La firma “Rembrandt. F 1632”

La firma infatti appare sul piccolo foglio rappresentato affisso al muro, in penombra. Lì c’è scritto “Rembrandt. F 1632”. Quella “F” sta per “fecit”, una parola latina che tradotta in italiano vuol dire “lo fece”, dunque, ricomponendo i pezzi,  si ottiene la frase “Rembrandt lo fece nel 1632”.

La realizzazione di quest’opera segnò una grande svolta per  Rembrandt, in quanto, nel diciassettesimo secolo ad Amsterdam  esisteva la Gilda dei Chirurghi che vedeva Tulp come anatomista ufficiale della città. 

La Gilda prevedeva che una volta l’anno avvenisse una dissezione anatomica in pubblico, a condizione che tale pratica fosse applicata sul cadavere di un criminale giustiziato.  Secondo alcuni documenti, pare si tratti di un criminale Adrian Adrianeszoon, soprannominato Het Kindt , che in seguito al processo fu condannato all’impiccagione, ad Amsterdam, nel 1632.

Poter essere il fautore dell’opera fu per Rembrandt un’occasione per ampliare la sua notorietà.

Questo incontro annuale era un vero e proprio evento sociale che vedeva la partecipazione di studenti, apprendisti e anche un pubblico di curiosi che però, per partecipare, doveva pagare una tassa d’ingresso. Addirittura, per poter prendere parte all’evento bisognava rispettare anche un codice di abbigliamento consono all’evento. Ogni 5-10 anni la Gilda dei Chirurghi commissionava un ritratto della dissezione ad un’artista e la fortuna vuole che, nel 1632, sia chiamato proprio Rembrandt ad adempiere a questo compito. Un giovane artista ventiseienne, arrivato da poco ad Amsterdam.

Per gli artisti, che come sappiamo, da sempre usano le loro abilità manuali per documentare e studiare l’anatomia del corpo, la possibilità di essere selezionati per immortalare un evento come questo, rappresentava una vera e propria vetrina per mostrare le proprie abilità.

Rembrandt questo lo sa bene e da il meglio di sé per portare innovazione nella rappresentazione. La Gilda teneva tantissimo a questo lavoro, tanto che, pur di essere inseriti nell’opera, i partecipanti proponevano all’artista delle ricompense economiche.

Quest’opera vede come personaggio di spicco il dottor Nicolaes Tlup, raffigurato sulla destra della composizione, mentre si accinge a spiegare i particolari tendinei dell’avambraccio e della mano ad un gruppo di studenti. Egli era soprannominato  “Vasalio di Amsterdam”, importante paragone con il fiammingo Andrea Vesalio: primo anatomista che eseguì personalmente una dissezione, mettendo a nudo i tendini della mano.

Nelle rappresentazioni delle dissezioni anatomiche, l’operazione parte dalla dissezione dell’addome o della testa; in quest’opera Rembrandt non rispettò la normale prassi delle lezioni anatomiche ma volle proprio evidenziare l’importanza della mano come principale strumento del medico. Inoltre il termine chirurgo deriva proprio dal greco “cheir” che significa mano.

In questa rappresentazione, l’artista, non si limita ad eseguire un ritratto di gruppo come fu fatto sino a quel momento, ma decide di realizzare una vera e propria messa in scena dell’operazione, dando un’originale interpretazione del genere dei ritratti di gruppo (molto diffuso a quei tempi nei Paesi Bassi) che solitamente prevedeva l’allineamento dei personaggi in composizioni statiche, in posa davanti all’osservatore. Nella sua opera le figure rappresentate, tutte più o meno partecipi all’evento, sono rappresentate in una salda unità tanto psicologica quanto compositiva. La novità sta proprio nella naturalezza con cui raffigura i personaggi congelando  l’immediatezza del movimento.

A dare ulteriormente l’idea di una messa in scena teatrale, è la compostezza del dottor Tulp che, se stesse realmente facendo una dissezione, non solo partirebbe dalla presentazione degli organi addominali, ma presenterebbe molti più strumenti chirurgici e qualche macchia dovuta all’operazione. Questa parte probabilmente non è stata eseguita da lui, dottore di grande fama, ma è stata precedentemente realizzata dal cosiddetto “preparatore”, non inserito nell’opera, per poi essere presentata da Tulp.

Se guardiamo le sue mani: con una stringe le pinze con cui estrae i tendini dal braccio del cadavere, in modo tale da mostrare il loro funzionamento, con l’altra mano mima il movimento che l’uomo può fare grazie ai tendini.

Il protagonista viene rappresentato con un abbigliamento elegante ed un grande cappello che denotano la sua importanza nell’ambito accademico. Quest’opera è piena di dettagli nascosti; nel libro tenuto in mano dall’osservatore più vicino a Tulp, sono segnati i nomi dei personaggi presenti nell’opera. Gli ultimi due nomi sono meno evidenti degli altri in quanto probabilmente sono stati inseriti in un secondo momento. Questi sembrano corrispondere proprio ai due personaggi all’estrema destra della composizione che pare siano stati inseriti dopo.

Anche il libro in primo piano, ai piedi del cadavere, non è stato inserito per puro caso: probabilmente è un rimando al famoso volume di anatomia “ De Humani corporis fabrica” di Vesalio.

Luce e Spazio

L’atmosfera suggestiva e drammatica è data dai forti contrasti di luce e ombra.

La grande teatralità presente in quest’opera si evince anche dall’espressione dei medici presenti: alcuni di loro sono stupiti, altri sono immersi nelle parole del dottore ed altri seguono interessati l’operazione. Per mettere in evidenza le emozioni  e gli stati d’animo di ognuno, Rembrandt si serve anche della luce. La fonte d’illuminazione dell’opera arriva da sinistra, mettendo in risalto i volti con grande forza realistica. A dare ulteriore risalto ai vari soggetti sono le  gorgiere bianche che evidenziano le teste di ognuno. Anche il corpo del cadavere e il luce, a differenza del volto che invece è rappresentato in penombra. Si tratta di una tecnica chiamata umbra mortis, ovvero “ombra della morte”, utilizzata da Rembrandt in diverse opere.

Lo spazio non viene esplicato con un’architettura prospettica, bensì dall’intersecarsi delle  direzioni: la disposizione del cadavere e dalle linee tracciate dalla direzione degli sguardi. Il limite spaziale è dato da pochi elementi: a destra, dal personaggio più esterno della composizione; a sinistra dal leggio con il libro aperto; sullo sfondo dall’arco presente sulla parete. È all’interno di questi pochi elementi  che Rembrandt gestisce il dinamismo compositivo dei gesti.

Buona lettura
Rosy

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